Entro in una bottega di quelle che hanno
il profumo d’antico, tanto che la prima impressione, abituato come sono agli
scaffali dei supermercati, mi fa sembrare le mensole abbastanza sguarnite.
Nell’aggirare la cassa il proprietario mi dice “Sta distante!” con tono deciso
ma simpatico; solo addomesticando l’improvviso spavento che mi ha suscitato
(sono pur sempre le otto e trentacinque della mattina) ho guardato verso il
bancone e ho visto il rimanente di un panino col prosciutto mangiucchiato e un
bicchiere di spremuta. Ho sorriso e ho proseguito verso il banco frigo,
sentendo poi anche il proprietario ridere di gusto insieme alle signora che
stava pagando in quel momento.
Saluto
la moglie del proprietario, signora non troppo anziana e decisamente in gamba,
anche se un po’ dura d’orecchi, che esce quasi improvvisamente da dietro la
scaffalatura salutandomi senza espressione. “Buongiorno!” le faccio. Lei sale
dietro al banco frigo e mi ascolta chiederle un panino con la bondola1,
un panino morbido, un arabo. Resto in piedi ad aspettare la conclusione delle
varie fasi di taglio, affettatura e imbottimento ed anche la signora sembra
avere in sé quello stato d’animo d’attesa per cui oramai non si aspetta più
niente di nuovo.
“Eh”,
esclama sospirando; “ah cari” aggiunge, ed io, per cercar di darle almeno un
minimo di conforto senza però lasciarmi trasportare troppo sussurro un “eh sì”,
che credevo si sarebbe perso nell’aria come questi tre puntini sulla pagina… La
signora è esattamente dov’è, l’aria della bottega è fresca e le luci sono calde
e vecchie; siamo circondati dalle cassette di frutta matura e odorosa e dalle
confezioni dei beni alimentari, nuovamente rinnovati nei loro nidi sulle mensole,
in un ricambio continuo e lungo come tutti gli anni di storia di quel luogo e di
quelle persone. Non v’è tristezza in quella voce, in quell’atmosfera.
“E
com’ela2?” mi chiede.
“Mah, tutto
abbastanza bene dai” le rispondo.
“Ah… vai a
lavorare stamattina?” mi chiede. E non percepisco affatto questa domanda come
invasiva, mi sembra solo naturale.
“Eh sì, dopo
vado a lavorare”.
“Ben dai, finché
ghe quela!3”
Quindi mi passa
il panino incartato. In una continuità estremamente armoniosa la signora mi
porge ancora qualche domanda, incuriosita da quale sia la mia professione, sui
luoghi nei quali lavoro. Rimasto l’unico cliente, si avvicina anche il marito ed
insieme, quasi come se quel momento fosse necessario durante la loro
giornata, mi raccontano di un ragazzo che conoscono, e che conosco anch’io, e
di come l’abbiamo visto crescere nella sua malattia. La signora poi con la
stessa naturalezza segue una ragazza appena entrata mentre il signore, il
proprietario del negozio, resta a parlare con me. Mi accompagna alla cassa e
quando tocca a una signora entrata poco prima io saluto, egli mi saluta e sua
moglie anche.
Salgo in
macchina, sono le otto e cinquantotto. Sorrido.
1 mortadella
2
come va?
3
finché c’è quello