Un post per San Valentino

venerdì 14 febbraio 2014

Oggi ho avuto la fortuna di conoscere un po' meglio Rita Levi Montalcini, attraverso il racconto e le emozioni di Giuseppina Tripodi, sua stretta collaboratrice, in un incontro intitolato "Abbi il coraggio di conoscere", organizzato da Incontri Culturali Liceo E. Medi, un gruppo di studentesse che hanno voluto dare mano alle loro idee.
Subito non l'avrei pensato ma Rita Levi Montalcini c'entra un sacco con San Valentino; forse per la sua trascinante passione per tutte le cose della vita, per la sua propensione al domani, per quella luce bianca e ardente che le scappa dal fondo degli occhi in ogni foto e in ogni filmato ogni qual volta risponda a una domanda senza nemmeno dare l'idea di pensare a una risposta. La connessione tra ciò che la prestigiosa scienziata ha studiato nella sua vita, ciò in cui credeva e ciò che aveva deciso di fare nella precisa intenzione di agire sulla realtà che la circondava era così stretta da zittire.
Uno studioso di cui non ricordo il nome, ma che la dottoressa Tripodi ha nominato, scoprì che quando uno dei due emisferi del cervello subisce un danno molto grave, come ad esempio un ictus, e quindi smette di funzionare normalmente, l'altro emisfero sopperisce cercando di svolgere le funzioni interrotte. Come una donna accanto a un uomo, con il suo sentire. Come un uomo accanto a una donna, con il suo essere.
Un lampo.
Una sensazione così stringente da suscitare commozione. Quasi la stessa che anche la dottoressa, per un attimo, ha svelato.
Ora ok, non so se c'entri effettivamente con San Valentino, non so se c'entri davvero con gli innamorati, diciamo che so sempre meno cose più vado avanti e questo mi inquieta almeno quanto mi esalta.

Concluderei con le parole che ha scritto lei, lette da Sara in conclusione all'incontro, che hanno il profumo dell'amore per l'umanità.

Ammettendo che tutti gli uomini abbiano incrinature e cioè difetti, perché questi sono inscindibili dalla condizione umana, in che cosa si differenzia il grand'uomo dall'uomo comune? Non certamente nella supremazia intellettuale. Uomini dotati di eccezionale intelligenza, che hanno apportato uno straordinario contributo scientifico, sono grandi uomini secondo la definizione corrente e sono venerati come tali, ma molti di loro sono decisamente inferiori all'uomo comune. Si ritiene che eccellere in qualsiasi attività possa dare un senso di grande sicurezza "e probabilmente una grande gioia", invece non serve che a stimolare la vanità e fornire un paraocchi. La sicurezza che deriva è uno schermo all'intima debolezza e la polarizzazione a coltivare quella particolare attitudine è a danno, e non a vantaggio, della personalità. Ritornando alla definizione e all'analisi degli attributi del grand'uomo, né le eccezionali qualità intellettive, né la forza e la sicurezza sono le doti che lo differenziano. Sono da sottovalutare le qualità che portano al successo e alla supremazia, mentre sono da elogiare gli individui dotati di una profonda e acuta sensibilità, quelli che sanno dimenticarsi completamente nella contemplazione dell'universo e/o dedizione agli altri e che sono non "senza incrinature", ma fanno errori e sono vulnerabili. Non è l'assenza di difetti che conta, ma la passione, la generosità, la comprensione e simpatia del prossimo, e l'accettazione di noi stessi con i nostri errori, le nostre debolezze, le nostre tare e virtù, così simili a quelle dei nostri ascendenti e discendenti. Spetta a ogni individuo il compito di costruire la propria scala di valori e cercare di attenersi a quella, non al fine di ottenere un compenso in terra o in cielo, ma con l'obiettivo di godere ora per ora, giorno per giorno, della straordinaria esperienza di vivere.

Rita Levi Montalcini, "Abbi il coraggio di conoscere"

Il grissinaio

mercoledì 12 febbraio 2014

Orazio faceva il grissinaio. Amava i grissini e aveva dedicato la sua intera vita a questo alimento arrivando alla produzione su scala industriale. Era un tipo decisamente simpatico, amante della routine, senza grandi ambizioni ma con chiaro in mente ciò che gli piaceva. Ogni mattina si alzava alle sei e undici minuti - sosteneva non fosse affatto lo stesso che svegliarsi alle sei e dieci, anzi quel minuto rubato cullava il pensiero di potersi riposare almeno un po' di più; faceva colazione con un croissant ripieno al cioccolato e un cappuccino comprati e consumati al bar in fondo alla via, tornava a casa per dedicarsi alle cure mattutine e quindi, verso le sette e quarantacinque (mai ad un'ora precisa, perché doveva essere soddisfatto delle cure mattutine), saliva in auto e raggiungeva il paese vicino dove aveva sede la sua fabbrica. "Buongiorno signo' Orazio!", "Buongiorno a voi!" rispondeva cordiale ad ogni saluto. Amava inoltre camminare tra i macchinari della linea di produzione, si occupava di mantenere le specifiche igieniche e provava un sincero piacere nel conversare con i lavoratori. Come ogni mattina insie-
"Posso portare via?", in un istante il cameriere mi porta via l'involucro di grissini vuoto.
Non ho modo di reagire.