Piccola grande terra

domenica 17 settembre 2017

Giungo da lontano al luogo delle poesie. Cioè arrivo da casa mia, meno di un chilometro dalla piazza, ma è come se vedessi un mucchio di gente seduta davanti a un palchetto e solo dopo realizzassi che lì, separata dal continuo e chiassoso flusso di auto e moto, sta tornando un paese scomparso, un frammento di Povegliano che, come in un incantesimo, può essere evocato solamente da molti soggetti insieme, contemporaneamente.
C'è attesa nell'aria fresca. La voce di G. ingigantita da una sola cassa senza pretese, defilata e zelante appena sotto il palco, il suo volume raggiunge appena le ultime file. Nei gialli delle lampadine, i discendenti e gli amici di Sergio De Guidi si alternano sul palco. G. aggiusta operosamente l'inclinazione dell'asta del microfono, di volta in volta. Voci rotte, calme, entusiaste, tutte restituiscono il miglior De Guidi che riescono a leggere all'abbraccio del pubblico, che sembra sempre così incoraggiante.
Ora vedo qualcosa di diverso, il paese che non ho mai conosciuto, gli elementi che lo costituiscono che invece mi appartengono. E' come se questi scritti fossero le mappe per un altrove che cerco in ogni vista di Povegliano.
E' la terra del poeta Sergio De Guidi: un mondo dentro un mondo dentro un mondo. C'è da recuperare lo sguardo sugli uomini per poter aprire le dimensioni racchiuse nelle sue poesie; infinitesimale allora diventa l'orizzonte visibile dei ricordi evocati, la sensazione della materia, la precisione dell'incastro delle parole attorno al concetto che descrivono. Così si intende il paese dentro il paese, fatto dei luoghi dei volti, delle situazioni che quei volti hanno abitato, ancora più straordinario perché senza tempo, senza esigenze d'attualità, quel paese è conosciuto e riconosciuto da chi legga. Vi è in De Guidi una territorialità spinta, ma che rimane sempre entro i confini , che è lì lì per straripare ma che invece alla fine trova sempre il proprio argine, infinitesimale all'infinito, ossia in quel movimento che tende e sempre tenderà al confine ma che il confine mai supera, pur creando tra esso e il suo limite un abisso, o meglio un cielo, che possa però dilatarsi e restringersi a seconda del sentire soggettivo. E così De Guidi ci tiene senza lasciarci andare entro queste pagine così rincuoranti, incoraggiandoci a osare, a guardare sopra i tetti per scoprire se quel confine possiamo superarlo; sembra chiedere a tutti se c'è qualcuno che pensa di poter andare oltre, trovando e figurando una meraviglia più grande di quella trovata da lui.
Ma Sergio fa di più, ci racconta di un piccolo grande paese ulteriore, il suo, quello delle sue emozioni, della sua infanzia, della sua vita, invisibile come un midollo ma allo stesso modo fondamentale e curativo. Nelle stesse immagini che i suoi versi richiamano alla mente, ecco profilarsi l'oggetto di Sergio, ecco possibile percepire che non siamo soli, che già qualcuno ha sorvolato i tetti di Povegliano, ne ha ascoltato le brezze, ne ha fotografato i vecchi sulle sedie della strada. Ci dice che quei signori e quelle signore non sono così importanti da essere nominati, che le vie del paese possono non avere nome in poesia, che i volti non demandano a nessuna identità, mirando alla definizione dell'assoluto; eppure così precise le sue descrizioni arrivano al nostro cuore, così dolci sembrano agitare le corde dei nostri sentimenti, in una sfumatura indefinitamente lunga ma mai del tutto assente, che la prima sensazione è quella opposta, quella di accorgersi di possedere una dimensione relativa, individuale, come se, in quanto lettori e compagni di viaggio, ognuno risuonasse del proprio assoluto. La poesia di Sergio De Guidi è commistione, è il lasciapassare per un viaggio interiore che non può far altro che proseguire all'esterno, nei veri luoghi di Povegliano, nelle strade, nelle botteghe, nei ritrovi serali di piazza alla luce barcollante di una lampadina attaccata a un balcone, perché quegli stessi luoghi non possono rimanere gli stessi, dopo aver letto De Guidi.
Siamo di fronte a un caso assoluto di poetica di viaggio, un carnet di acquerelli evocati alla mente e agli occhi, al fiuto, al tatto, in versi scarni quanto densi, veri quanto la terra.
Alla fine ho come l'impressione che l'unico modo per scendere veramente in questa piccola grande terra sia stringerne un poca in mano.


VIANDANTI MODERNI

Questo spazio di luce che riveste
di sole un verde turgido al mattino,
con messi che maturano nei campi,
è silenzio d'amore e riflessioni
all'edicola bianca di Maria
rallegrata da tuje e da gerani,
con piantagioni d'alberi fanciulli
festosi sopra l'erba ad osservare
infinito di cielo nelle gocce
che stillano da foglie con le brezze;
ma sospinti da un tempo a noi tiranno,
non sostiamo in preghiera sulla via,
trascinati da un vortice frenetico
sulle strade convulse dell'Europa:
pellegrini moderni sempre in corsa,
esuli al cuore, a noi stessi, alla vita!

Sergio De Guidi

Nel film di Venezia

venerdì 1 settembre 2017

Venezia è un film, così l'ho vista, attraverso un finestrino dell'acquabus, richiamare con i suoi tetti e le sue finiture infinitamente dolci e indefinitamente gendarmeresche, ad ogni sguardo, ad ogni dondolamento, ferma lì a fianco. Transito di fronte alle facciate del bacino di San Marco, possenti muraglioni a picco sul mare cesellati di finestre e colori antichi, uniti ed estesi per centinaia di metri fino ai Giardini della Biennale, danno l'idea di poter fermare qualsiasi mareggiata, di essere sferzati dal vento più potente senza cadere, senza sgretolarsi, moniti secolari di grandezza, forza e intelligenza.
Certo, occorre isolare almeno un pochino l'essenza di questo luogo dalla coltre di motori, gas di scarico, sudore, folla, ma una volta giunti, una volta a spasso sulle acque della laguna, il senso estetico vibra, la storicità richiama sguardi nuovi, le costruzioni e le intenzioni di chi vi si avvicina d'improvviso diventano quelle di chi si dice: "Aspetta, qui c'è qualcosa che mi interessa".
La storicità ha saputo racchiudere in Venezia sia il senso estetico che quello urbanistico, sfruttando anche strade fatte di acqua e ingegnosi stratagemmi architettonici di conservazione dei materiali, perennemente esposti al contatto con il liquido, creando incastri nuovi, percorsi senza bordi. E nella sua densità fatta di cinematica ed estetica diventa polo di raccoglimento e indagine per l'arte che più si affida al movimento e alla forma.
Il cinema per Venezia è un rito, una celebrazione solenne, che avviene nelle immagini e nella loro visione, nella storicità di quel luogo in funzione di quello scopo; perché il cinema a Venezia oggi esiste anche senza sala, nelle calli e nei lidi che sembrano familiari pur non avendo visto alcun film. Vi è un incastro così perfetto tra città e rito che lo stesso si può trovare solo tra schermo e platea, tra scena e set.