Sàrdègna

lunedì 1 gennaio 2018

Ha ragione V. a dire che quando si va a questi tornei il tempo si dimentica, se ne perde la cognizione. In questo caso, cinque giorni sono volati, grazie al torneo ma grazie anche a chi li ha condivisi con me. E poi grazie anche alla Sardegna.
La sensazione che ho nell’andarmene è quella di essermi ustionato, come se fossi stato troppo vicino al fuoco. La Sardegna, verso di me, comporta un po’ questo rischio, selvatica e leggendaria com’è, quello di scegliere di non svelarsi del tutto, di difendersi se vuole, se giudica che non si sia pronti a conoscerla. Con molta umiltà ammetto di sentirmi così. L’ho voluta viaggiare, scoprire, ritrarre in tre giorni più di quanto essa non possa. I tempi di questa terra sono altri e non vanno pensati. La prima sera, se ora ricordo, ero stato messo in guardia, con tutta la bontà possibile, ma come spesso capita, non si è pronti a recepire i segnali.
Il maestrale soffiava già venerdì pomeriggio, sceso dall’aereo il clima era caldo ma l’aria fredda. Per arrivare da Elmas a Cagliari centro c’è un treno che parte dall’aeroporto e in cinque minuti si è in piazza. Il vecchio treno propagava boccate di gas alla fermata che rimanevano in cabina durante il viaggio fino a disperdersi dai finestrini o nei polmoni dei passeggeri. Era un vecchio treno a motore, si sentivano le marce ingranare.
Da Cagliari centro non è stato subito immediato trovare la linea per Quartu Sant’Elena, dove si trova l’Hotel; lo stesso personale dell’info-point di piazza Matteotti non ha saputo dirmelo - anche se in realtà è facile. Chiedendo di qua e di là sono riuscito a prendere il 31, dopo una ventina di minuti di viaggio scendo e cambio corsa. Nell’attesa mi sono seduto alla fermata di fianco a un signore, è stato lì che ho capito di trovarmi in un tempo diverso.
“Il vento è cambiato” dice, tenendo i suoi baffi rivolti alla strada.
“Ah sì?” rispondo io.
“Il maestrale quando arriva rimane almeno 2-3 giorni, ma sta cambiando.”
“Ah… e che tempo farà secondo lei?” chiedo per parlare un po’. Ma il signore non risponde, sembra ignorarmi. Lo guardo mentre lui guarda avanti e mi sembra che sia andato oltre con la mente, in altri luoghi. Penso di aver fatto una domanda stupida, alla quale non serve risposta.
Dopo qualche minuto però, il signore mi chiede:
“Vieni da Roma?”
“No, da Verona”, gli dico, “Vengo per un torneo di frisbee”
“Fresbi?” mi chiede stranito.
“Sì ha presente quel disco di plastica… c’è un torneo al Poetto domani e domenica!”
“Aaaaah” mi fa.
“È per quello che le ho chiesto che tempo fa domani!” gli dico. Così, chiudendo il cerchio, ci siamo messi a ridere entrambi.
Il signore non aveva dimenticato la mia domanda, non le aveva dato una risposta, ma si era preso del tempo. E il tempo per la Sardegna è diverso per ognuno. Se non lo capisci da solo te lo fa capire lei. Con un finestrino sfondato, i prezzi gonfiati, gli orari strani delle località di mare ad aprile, con le indicazioni stradali discontinue e i caratteri delle persone così all’opposto; gli orizzonti frastagliati come cocci rotti o piatti come tavole; con i singhiozzi di “civilizzazione” edilizia nel mantello vegetale che copre ogni paesaggio, come se la terra non potesse essere vista.
Ma la Sardegna, se la accetti, se sei disposto a guardarti un po’ dentro, ti lascia entrare alla fine. Nell'ospitalità delle persone e dei miei amici frisbisti, che ha qualcosa di molto più che proverbiale; sui fondali maculati del mare sono il naturale proseguimento della selvaticità terrestre; negli ampi spazi che diventano panorami interiori, specchi dei nostri orizzonti, a volte frastagliati e difficili da leggere, altre lisci e limpidi come la fine del mare nel cielo.
Le persone nascono nella ricchezza e nelle contraddizioni di questa coesistenza di opposti.